Parlano le ragazze dell’ex Zuffo «Questo è un luogo di amicizia»
«Siamo un laboratorio di donne e uomini nuovi, chiamati un giorno non lontano a dare risposte a nuovi interrogativi», scrive Silvia Cristofolini, figlia di un medico del lavoro, reduce da un anno a Berlino, dove le Comuni si chiamano «Hausprojekte». E’ una delle ragazze del Centro sociale autogestito Bruno, che il consiglio comunale vuole sgomberare dopo tre mesi di occupazione abusiva all’ex Zuffo, in seguito all’approvazione di un ordine del giorno proposto da Emilio Giuliana (Fiamma Tricolore). «Un centro sociale chiede risposte non omologanti a domande diverse». Silvia replica così al Palazzo che vuole liquidarli. Ora grattando con un’unghiata la vernice dei luoghi comuni sui Disobbedienti ecco spuntare una generazione non pacificata, a cui questa città «dà il sapore della plastica», ma meno stereotipata di quel che si pensi. Don Maffeis ha definito «profetica» la loro esperienza. Alcuni di loro trascorreranno Capodanno con i clochard. Ora le otto testimonianze che riportiamo aprono uno squarcio di cos’è stata in queste settimane la vita dentro il centro sociale Bruno. «Qui non c’è la playstation, non c’è la fumettoteca: fa freddo e non c’è stato un giorno nel quale non abbiamo lavorato», racconta Elisa Franceschi. E’ quindi una gioventù cresciuta a pane e internet (questi racconti sono stati scritti e spediti via mail in un soffio), adusa a pensare più veloce della politica. «Mi piacerebbe molto che prima di sgomberarci il sindaco Pacher venisse a vedere questo luogo per farsi un’idea della cavolata che sta per fare a Trento. Se Bruno chiuderà realmente sarà la fine di un luogo di amicizia, lealtà, divertimento».
(c.ve.)
«Un laboratorio di uomini e donne nuovi»
«Al mio rientro da Berlino, il 4 ottobre di quest’anno, mi trovai immediatamente a dover affrontare il mio smarrimento. Dopo un anno vissuto a diretto contatto con decennali esperienze di autoorganizzazione in quelli che chiamiamo Hausprojekte, la mia percezione evidentemente mutata dall’esperienza nella grande metropoli mi dava la sensazione di essere piombata nella vetrina di un’agenzia di viaggi.
Cercavo qualcosa che mi sembrasse concreto, vivo, qualcosa che non avesse per me il sapore della plastica. Cercavo una traccia degli avvenimenti che da lontano avevo seguito sul web, espressione delle più varie realtà di disagio che anche qui, nell’ombra, esistono, come i fatti della ex Sloi, le proteste seguite ai rastrellamenti di Piazza Dante, o ancora l’azione lampo avvenuta nel Parco di Gocciadoro. Sapevo però che di lì a poco avrebbe preso vita il Centro sociale autogestito Bruno. Quest’idea mi faceva sentire sollevata.
Un’azione di occupazione come quella dello stabile nell’area Zuffo rappresenta innanzitutto la volontà da parte di ragazzi di riportare alla comunità spazi inutilizzati e lasciati al degrado; il Centro sociale autogestito che naturalmente e di conseguenza qui nasce è il luogo dove le prospettive “global” di giovani e di migranti possono avere voce, in un progetto sociale che non cade dall’alto, bensì partecipato ad ogni livello e nato dai bisogni veri, e dove essi non siano solo consumatori, ma piuttosto gestori responsabilizzati.
Un centro sociale autogestito chiede risposte non omologanti a domande diverse; se le occasioni di aggregazione sono unicamente quelle proposte dai locali commerciali, dove si beve e basta, ecco che l’autogestione rappresenta una possibilità di contrastare un problema grave, quello dell’alcolismo giovanile, attraverso la necessità di adottare un’Etica della responsabilità interpersonale che, integrando e aggregando, dia nuova linfa alla politica intesa nella sua accezione più alta di gestione della cosa pubblica oggi per domani. Il nostro Bruno si propone come un calderone, un laboratorio di donne e uomini nuovi, chiamati un giorno non lontano a dare risposte a nuovi interrogativi, alcuni posti davvero per la prima volta. Siamo giovani e migranti che odorano di futuro, ai quali però la comunità trentina offre prospettive non facili. Glocal non può essere solo vendere world wide i prodotti doc trentini.
La Comunità intera del Trentino e tutta la città di Trento si dovranno occupare di questioni che adesso ancora non sentono come problemi vicini, o forse solo si sono voltati dall’altra parte per poter fingere di non aver visto. Queste però sono questioni di domani di cui il Bruno si fa testimone e portavoce già oggi.
Silvia Cristofolini
«Ho 15 anni, frequento quasi quotidianamente il Centro sociale Bruno e oltre a trovarci un posto dove passare del tempo con i miei amici trovo che sia un luogo dove i miei ideali possano trovare sfogo liberamente. Per me, con i pensieri di libertà e fraternità verso tutti, un centro sociale come il nostro, costruito con le nostre fatiche, pomeriggio dopo pomeriggio, può essere una preziosa fonte di conoscenza per affrontare la società attuale con occhi più critici. Il Bruno deve rappresentare per i giovani, ma anche per tutto il resto della cittadinanza, una possibilità di far uscire il lato disobbediente che si trova in ognuno di noi, per ribellarsi alle ingiustizie che ogni giorno nascono nella tranquilla cittadina di Trento, ma anche in contesto globale, perché in fondo siamo tutti cittadini del mondo! Cconsidero il Centro sociale Bruno come una seconda famiglia, dato che penso che esistano due famiglie, una che ti ritrovi dalla nascita e una che ti crei in seguito a varie esperienze».
Marzia Deflorian
«Ho ventun anni. Nata e cresciuta a Trento, città troppo pigra e chiusa ad un mondo in continuo movimento, non mi sono mai sentita libera di esprimere quelli che sono i miei sogni e le mie necessità, ma solo di adeguarmi. Per qualche anno ho a Venezia, studiavo a Ca Foscari, poi a Bologna e poi in Toscana, ho fatto anche tanti lavori. Poi quest’estate sono tornata in città e ho ritrovato la cara vecchia Tana. E qui mi sono fermata, perché ho sentito il bisogno di farlo. Perché mi sono sentita parte di un’entità che voleva davvero cambiare le cose, una realtà che cercava di evolversi per dare spazio a tutte quelle idee e forme d’espressione che stavano rimanendo schiacciate. E così è nato il Bruno. La casa che abbiamo creato, pezzo dopo pezzo, sogno dopo sogno, mi ha convinta a rimanere nella città da cui per anni ho cercato di scappare e mi ha permesso di tornare a credere nei sogni».
Stefania Veneri
«Pensare di lasciare questo posto perché delle persone che probabilmente non sono nemmeno mai entrate dicono che è sbagliato e pericoloso mi sento male, la mia rabbia cresce. Ho 15 anni e l’anno scorso ho conosciuto dei ragazzi che stavano in Tana e mi sono sentita subito bene insieme a loro e abbiamo partecipato a molte attività, abbiamo parlato, discusso, ragionato. Ho trovato un gruppo, una compagnia con cui riuscivo a stare in serenità, tutti interessati alla politica e alle questioni della società di oggi, ma la tana non poteva andare avanti, per la mancanza di soldi, così abbiamo deciso assieme di liberare uno spazio inutilizzato per continuare il nostro percorso, per riuscire a far proseguire questo gruppo, unito e con una gran voglia di crescere.
Adesso siamo qui in un posto dove possiamo continuare ad esprimere le nostre speranze e la nostra voglia di fare. Non possono toglierci questo posto perché vuol dire rovinare una delle cose più belle che siamo riuscite a creare».
Giulia De Carli
«Ho 17 anni e frequento il Csa Bruno, già da prima ero partecipe al movimento della Tana e in particolare con la rete degli studenti. Ho conosciuto grazie a questi luoghi molte persone con interessi e vite differenti, la cosa che entrando in contatto con questi compagni mi ha colpito da subito è l’assenza di pregiudizi. A differenza di altre realtà questa pone l’attenzione su argomenti che molto spesso non sono valutati. Ho sempre voluto dare concretezza al mio bisogno di migliorare la realtà in cui vivo, poiché spesso mi delude. Quando penso che ci vogliono sgomberare, mi viene da piangere, ma non per noi, perché noi troveremo un altro posto. Mi piacerebbe molto che prima di sgomberarci il sindaco Pacher venisse a vedere questo luogo per farsi un’idea della cavolata che sta per fare a Trento. Se Bruno chiuderà realmente sarà la fine di un luogo d’amicizia, lealtà e divertimento».
Francesca de Petris
«Ho 19 anni, sono iscritta al primo anno di Sociologia, indirizzo Spie. Provengo dal collettivo studentesco del Liceo Rosmini. Il 10 ottobre ho preso parte all’occupazione della palazzina dell’Ex Zuffo, che è diventa il Centro Sociale Autogestito Bruno. Bruno esiste ormai da quasi tre mesi, porta con sé valori importanti, ho trovato persone che sono diventate i miei fratelli e le mie sorelle. Al Bruno non c’è la Playstation, non c’è la fumettoteca: fa freddo e non c’è stato un solo giorno nel quale non abbiamo lavorato. Bruno non ha orari e le sue regole sono imposte solo dal buonsenso. Ho conosciuto un sacco di gente stando dietro ad un bancone. Perché ci trovo la mia famiglia. Perché si respira aria di casa. Perché per accendere il fuoco nella stufa in sala grigia ci vogliono sei persone e un’ora e mezza. Perché c’è bisogno di una alternativa. Perché Bruno è l’unico posto dove ho visto Dona provare a parlare inglese. Perché al Bruno faccio politica e biopolitica. Perché Bruno non è fascista, né razzista, né omofobo. Perché al Bruno arriva la navetta ogni quarto d’ora. Perché il Bruno non è perfetto e nemmeno vuole diventarlo. Perché sul muro delle facce al posto di Lenin è apparsa la foto segnaletica del nonno di Christian».
Elisa Franceschi
«Non è molto comune vivere da 19 anni a Folgaria e passare tutto il proprio tempo libero a Trento, in un centro sociale. O almeno è la gente a guardarti male quando cerchi di spiegare perché ogni sabato preferisci passare la serata a spillare birra dietro al bancone del Bruno piuttosto che andare a divertirti con «i soci» in qualche bar figo. La verità è che ho sempre odiato l’idea di passare l’intera esistenza in un paesino che - per quanto pittoresco possa apparire ai turisti che a Natale e a Ferragosto raggiungono Folgaria per sfuggire al caos delle grandi città - non offre alcuna prospettiva ai propri abitanti, tanto meno ai giovani. Giovani che vengono considerati dei piccoli adulti, individui la cui massima aspettativa è finire la scuola al più presto per poter cominciare a lavorare a tempo pieno e rendersi indipendenti dai genitori per quanto riguarda benzina e ricarica del cellulare. Ciò che mi spinge ad allontanarmi da questo tipo di realtà per avventurami in un mondo quale quello del Bruno è il fatto che questo mondo è diverso. Ciò che anima i giovani che hanno occupato l’edificio presso il parcheggio Zuffo è la speranza di poter mettere in pratica i propri sogni, mettendosi in gioco».
Francesca Manzini
«Sono una delle ragazze che frequentano il Csa Bruno, vengo da Rovereto e ho 16 anni. Data la mia predisposizione per i luoghi di comunità e il dibattito, un mio operatore me ne ha parlato, così una sera sono venuta in prima persona a visitarlo e a incontrare alcuni dei ragazzi. Nella realizzazione del Bruno i ragazzi si sono divertiti, hanno sudato, sono riusciti a conciliare i loro impegni quotidiani, tutti incitati da idee e speranze e sono fermamente convinta: ci sono riusciti. Sono estremamente contenta di essere finalmente riuscita a trovare delle persone prive di pregiudizi come invece è la realtà in cui viviamo. Ci divertiamo insieme, ridiamo, collaboriamo, abbiamo trovato molte idee comuni o con sfumature diverse, poi discutiamo delle necessità di una vita sociale trascurata, tentiamo la sensibilizzazione della gente che ci circonda e veniamo subito etichettati come pericolosi solo perché i giovani dovrebbero imparare nozioni a scuola senza crearsi degli ideali. Noi abbiamo deciso di spiegare le ali e aprire gli occhi su un mondo che degenera di giorno in giorno. Dopo un tale impegno ci viene detto che il Bruno verrà sgomberato e non vi è frase peggiore perché tutti hanno scritto articoli su di noi, hanno discusso di noi, ma il tutto senza interpellarci».
M’Barka Gorria