23.11.06

dal Trentino del 23.11.'06: «La Provincia non combatte il lavoro nero»

Nel primo incontro della serie organizzata da Aps Officina Sociale una prima analisi sul fenomeno del caporalato in Trentino
L’accusa di Rapanà: «Ma anche i sindacati sono in grave ritardo»
Svetlana Turella: «Legare il permesso di soggiorno alla durata del lavoro rende più debole lo straniero»

TRENTO. Il Trentino non sarà come la Puglia ma per Antonio Rapanà, dell’ufficio stranieri della Cgil, «qui non si è fatto abbastanza per gli immigrati». Di più. «La Provincia è in gravissimo ritardo sia sulle politiche di accoglienza che nel combattere il lavoro nero. Non ha progetti nonostante vengano spesi molti soldi». Ma il sindacalista non si chiama fuori. «Anche i sindacati hanno le loro responsabilità. Si è perso il controllo dell’organizzazione del lavoro nelle sue trasformazioni». La serata è di quelle inaugurali. Al centro sociale autogestito “Bruno” del piazzale ex Zuffo prende il via un ciclo di incontri su questioni scottanti: “I percorsi dell’orso”.

E si inizia, promosso da Aps Officina sociale, con la “mela marcia” sui recenti casi di caporalato in Trentino. Invitato, insieme a Rapanà e all’avvocato Svetlana Turella del foro di Rovereto, era Fabrizio Gatti dell’Espresso, autore di molte inchieste sugli immigrati e l’immigrazione. Ultima in ordine di tempo quella pubblicata a settembre sul settimanale: una settimana con i raccoglitori di pomodori in Puglia, tra caporali e padroni spietati. Il giornalista non è riuscito a partecipare ma radio Sherwood lo ha sentito e l’intervista ha preceduto gli interventi del sindacalista e dell’avvocato. «Insomma abbiamo scoperto che il caporalato c’è anche in Trentino» afferma. E continua: «E sì che pochi giorni dopo l’uscita del reportage alcuni vostri imprenditori avevano detto che lì da voi è tutto a posto». Gatti paragona l’Italia al Sudafrica dell’apartheid. «Come là per i neri, considerati stranieri, anche qui l’immigrato che perde il lavoro viene espulso. Ci vuole un movimento di pensiero per dire forte che il diritto di cittadinanza è il diritto ad esistere. Tutte le persone che vivono in Italia hanno diritto alla loro dignità. Per questo va fatto un intervento strutturale sulla legge Bossi-Fini». «Sono sconcertato - aggiunge Rapanà - per lo scalpore causato dai recenti casi di caporalato in Trentino. Non c’è proprio nulla di cui stupirsi perché lo si sapeva. Le violenze sono più diffuse di quanto si possa pensare. Qualche esempio? In un ristorante di Trento un vicecuoco voleva andarsene in ferie. Ok gli ha detto il ristoratore ma ti trovi un sostituto e te lo paghi. So poi di uno straniero che aveva delle bancarelle a Trento e Rovereto. Ha chiuso l’attività e fa il caporale, a 5000 euro a botta». «Legare il permesso di soggiorno alla durata del lavoro, come previsto dalla legge - ha affermato Svetlana Turella - rende lo straniero ancora più debole. Non è pensabile che si vada avanti così anche perché la discrezionalità delle questure sui rinnovi è assai ampia. Denunciare le proprie condizioni di sfruttamento, come sta avvenendo adesso a Rovereto dopo che sono scoppiati i casi di caporalato, può portare all’espulsione perché non c’è una legge che tuteli queste situazioni. In questo caso penso che si vada verso una concessione di “permessi di attesa all’occupazione”. Adesso c’è un disegno di legge governativo che però deve fare tutto il suo iter». «E’ necessario - conclude Rapanà - che i permessi di soggiorno abbiano una durata maggiore, che non siano legati al lavoro e che al centro ci sia la lotta al sommerso. Sinceramente, però, non sono ottimista».

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