Palazzina Liberty ed Ex Zuffo: così può nascere un nuovo rapporto con la città
di MARCO ROSI*
Circa sette anni fa si concretizzò agli occhi del mondo, nell’evento di Seattle, un nuovo movimento di critica e di azione politica su scala transnazionale, capace di mettere in discussione gli assetti del nuovo vivere globale, focalizzando da un lato gli aspetti più perversi dei processi di globalizzazione, ma sottolineando, dall’altro, il nuovo potere civile che una tecnologia e una solidarietà di tipo orizzontale possono sviluppare. È lampante come si possano riconoscere molti errori a quel movimento, dai quali deriva tra l’altro la fase di stasi che oggi lo contraddistingue, almeno a livello nazionale, ma non si può negare che buona parte della nostra consapevolezza attuale di «essere globali nel mondo come un tutt’uno», derivi, volenti o nolenti, da quel tipo di azione politica e dal vasto lavoro di sensibilizzazione che ha operato a tutti i livelli della società. Molti interventi di cooperazione internazionale che oggi vengono portati avanti sul territorio sono figli di quell’ondata di contestazione, così come l’atteggiamento consapevole che ogni giorno tanti cittadini assumono attraverso le loro scelte, a partire dal consumo quotidiano fino ad un impegno di partecipazione sociale attivo e concreto. Questo per dimostrare come la dialettica movimento-istituzioni, se connotata in termini di confronto politico, che a volte può assumere anche toni aspri e conflittuali, contribuisce a creare conoscenza sull’esistente, aprendo alla società nuove prospettive prima poco rappresentabili perché orientate da meccanismi di controllo elitari e poco rappresentativi. Il caso attuale della nascita, nell’area ex-Zuffo, del Centro Sociale Autogestito Bruno ritengo vada seguito in quest’ottica, nella prosecuzione a livello locale dei risultati che si sono raggiunti a livello globale, ma con un aspetto fortemente innovativo: la centratura del territorio come terreno specifico di partecipazione da cui partire per riflettere e agire sul mondo. I progetti portati avanti in questi anni dalle persone legate a tale movimento sono nati, in maniera molto concreta, in relazione ai bisogni della città nei suoi lati più nascosti e trascurati, come nel caso dei senza fissa dimora o della situazione migratoria, prendendo di petto quei problemi che invece altri hanno preferito liquidare con stereotipi o con una non-scelta. Non si può negare che questa spinta partecipativa abbia portato, pur nelle sue contraddizioni, a una nuova conoscenza della città su se stessa, anche con risultati pratici non indifferenti, si prenda l’assistenza fatta in termini di politiche sociali a molte persone in stato di disagio e di difficoltà. La metafora dell’orso Bruno, fortemente trentino, ma che si vuole libero di circolare, spiega bene i contenuti di questa nuova fase di azione politica e offre, in generale, una prospettiva nuova al movimento sulla globalizzazione che può consentire di uscire dalla stasi in cui si è relegato attraverso la svolta pacifista. Partire dalla città per arrivare al mondo appare come un’occasione nuova ed utile per completare il lavoro di conoscenza e cambiamento che la società civile ha messo in atto di fronte alle nuove emergenze del vivere globale. Ma le occasioni vanno colte da parte di tutti gli interlocutori che vi sono coinvolti. E qui entra in gioco la questione dell’illegalità. Occorre evidenziare che un movimento sociale ha spesso la necessità di varcare i confini istituzionali che regolano la pressione e il controllo della cosa pubblica da parte della cittadinanza, per il fatto stesso che tali confini sono bloccati, molto poco permeabili alla spinta partecipativa della società civile. Tale chiusura è dimostrata, ad esempio, nel caso di Trento, dal modo in cui l’amministrazione non ha rispettato i patti dell’uscita dalla Palazzina Liberty nell’occupazione dello scorso inverno, come riportano in questi giorni sui giornali i garanti di quell’accordo. Occorre comprendere che l’illegalità non è una dimensione fine a se stessa, bensì una forma di comunicazione che sottolinea la mancanza di alternative. Per questo deve essere compresa e discussa sul piano politico e solo in questo modo può portare ad una situazione partecipativa che sia costruttiva per la città. Un altro esempio. Anche la recente occupazione creativa del Parco di Gocciadoro è stata illegale. Non è possibile, infatti, dal punto di vista amministrativo, organizzare una manifestazione di una settimana in uno spazio così grande con 52 euro. Tuttavia l’evento nella sua illegalità ha portato più di cinquemila cittadini trentini a confrontarsi con idee nuove e propositive, oltre che a comprendere, di fronte alla nuova e stupefacente vita del parco, l’esigenza di ripensare in maniera più partecipata il proprio territorio. L’illegalità va quindi analizzata come segnale, che va negoziato politicamente innanzitutto per mettere alla prova i «contestatori», per verificare se la rete che hanno creato è aperta e portatrice di contenuti innovativi. Coesione e innovazione sono qualità fondamentali, strettamente legate tra loro, che gli occupanti devono dimostrare alla città, affinché l’occupazione non rischi di trasformarsi in qualcosa di fine a se stesso. Accertati questi due passaggi, uno «a carico» dell’amministrazione e uno «a carico» degli occupanti, la dialettica e la ricerca di una relazione nuova tra movimento e istituzioni non può che essere emancipatoria e portare nuova esperienza ad un territorio che, almeno dal punto di vista politico, è troppo abituato a sonnecchiare.
* ricercatore dei movimenti sociali
di MARCO ROSI*
Circa sette anni fa si concretizzò agli occhi del mondo, nell’evento di Seattle, un nuovo movimento di critica e di azione politica su scala transnazionale, capace di mettere in discussione gli assetti del nuovo vivere globale, focalizzando da un lato gli aspetti più perversi dei processi di globalizzazione, ma sottolineando, dall’altro, il nuovo potere civile che una tecnologia e una solidarietà di tipo orizzontale possono sviluppare. È lampante come si possano riconoscere molti errori a quel movimento, dai quali deriva tra l’altro la fase di stasi che oggi lo contraddistingue, almeno a livello nazionale, ma non si può negare che buona parte della nostra consapevolezza attuale di «essere globali nel mondo come un tutt’uno», derivi, volenti o nolenti, da quel tipo di azione politica e dal vasto lavoro di sensibilizzazione che ha operato a tutti i livelli della società. Molti interventi di cooperazione internazionale che oggi vengono portati avanti sul territorio sono figli di quell’ondata di contestazione, così come l’atteggiamento consapevole che ogni giorno tanti cittadini assumono attraverso le loro scelte, a partire dal consumo quotidiano fino ad un impegno di partecipazione sociale attivo e concreto. Questo per dimostrare come la dialettica movimento-istituzioni, se connotata in termini di confronto politico, che a volte può assumere anche toni aspri e conflittuali, contribuisce a creare conoscenza sull’esistente, aprendo alla società nuove prospettive prima poco rappresentabili perché orientate da meccanismi di controllo elitari e poco rappresentativi. Il caso attuale della nascita, nell’area ex-Zuffo, del Centro Sociale Autogestito Bruno ritengo vada seguito in quest’ottica, nella prosecuzione a livello locale dei risultati che si sono raggiunti a livello globale, ma con un aspetto fortemente innovativo: la centratura del territorio come terreno specifico di partecipazione da cui partire per riflettere e agire sul mondo. I progetti portati avanti in questi anni dalle persone legate a tale movimento sono nati, in maniera molto concreta, in relazione ai bisogni della città nei suoi lati più nascosti e trascurati, come nel caso dei senza fissa dimora o della situazione migratoria, prendendo di petto quei problemi che invece altri hanno preferito liquidare con stereotipi o con una non-scelta. Non si può negare che questa spinta partecipativa abbia portato, pur nelle sue contraddizioni, a una nuova conoscenza della città su se stessa, anche con risultati pratici non indifferenti, si prenda l’assistenza fatta in termini di politiche sociali a molte persone in stato di disagio e di difficoltà. La metafora dell’orso Bruno, fortemente trentino, ma che si vuole libero di circolare, spiega bene i contenuti di questa nuova fase di azione politica e offre, in generale, una prospettiva nuova al movimento sulla globalizzazione che può consentire di uscire dalla stasi in cui si è relegato attraverso la svolta pacifista. Partire dalla città per arrivare al mondo appare come un’occasione nuova ed utile per completare il lavoro di conoscenza e cambiamento che la società civile ha messo in atto di fronte alle nuove emergenze del vivere globale. Ma le occasioni vanno colte da parte di tutti gli interlocutori che vi sono coinvolti. E qui entra in gioco la questione dell’illegalità. Occorre evidenziare che un movimento sociale ha spesso la necessità di varcare i confini istituzionali che regolano la pressione e il controllo della cosa pubblica da parte della cittadinanza, per il fatto stesso che tali confini sono bloccati, molto poco permeabili alla spinta partecipativa della società civile. Tale chiusura è dimostrata, ad esempio, nel caso di Trento, dal modo in cui l’amministrazione non ha rispettato i patti dell’uscita dalla Palazzina Liberty nell’occupazione dello scorso inverno, come riportano in questi giorni sui giornali i garanti di quell’accordo. Occorre comprendere che l’illegalità non è una dimensione fine a se stessa, bensì una forma di comunicazione che sottolinea la mancanza di alternative. Per questo deve essere compresa e discussa sul piano politico e solo in questo modo può portare ad una situazione partecipativa che sia costruttiva per la città. Un altro esempio. Anche la recente occupazione creativa del Parco di Gocciadoro è stata illegale. Non è possibile, infatti, dal punto di vista amministrativo, organizzare una manifestazione di una settimana in uno spazio così grande con 52 euro. Tuttavia l’evento nella sua illegalità ha portato più di cinquemila cittadini trentini a confrontarsi con idee nuove e propositive, oltre che a comprendere, di fronte alla nuova e stupefacente vita del parco, l’esigenza di ripensare in maniera più partecipata il proprio territorio. L’illegalità va quindi analizzata come segnale, che va negoziato politicamente innanzitutto per mettere alla prova i «contestatori», per verificare se la rete che hanno creato è aperta e portatrice di contenuti innovativi. Coesione e innovazione sono qualità fondamentali, strettamente legate tra loro, che gli occupanti devono dimostrare alla città, affinché l’occupazione non rischi di trasformarsi in qualcosa di fine a se stesso. Accertati questi due passaggi, uno «a carico» dell’amministrazione e uno «a carico» degli occupanti, la dialettica e la ricerca di una relazione nuova tra movimento e istituzioni non può che essere emancipatoria e portare nuova esperienza ad un territorio che, almeno dal punto di vista politico, è troppo abituato a sonnecchiare.
* ricercatore dei movimenti sociali
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