Con ogni probabilità la manifestazione contro la decisione del governo Prodi di concedere l’aeroporto Dal Molin di Vicenza per la costruzione di una base USA, costituirà l’occasione per l’inizio di un nuovo ciclo di lotte del movimento contro la guerra.
Lo si desume dall’interesse che attorno a questa vicenda si sta sviluppando, dall’infittirsi della rete di rapporti e relazioni tra le varie componenti del movimento no war, dal dato di partecipazione che, secondo le previsioni, dovrebbe attestarsi ai livelli delle grandi mobilitazioni contro la guerra globale della passata stagione di lotte.
Tuttavia, oltre l’aspetto meramente quantitativo, ciò che sembra caratterizzare l’attuale ripresa di iniziativa da parte del movimento pacifista è proprio la sua mutazione: come sempre accade nella storia dei movimenti, l’inizio di un nuovo ciclo di lotte rivela anche una qualità nuova che si esprime nelle pratiche e nei comportamenti posti in essere dal movimento.
Innanzitutto il dato moltitudinario. Preparato già dalle formidabili lotte della Val di Susa, e forse ancor prima di Scanzano Ionico, il dato delle mobilitazioni vicentine evidenzia una partecipazione plurima, composita, estesa socialmente. La ricchezza di questo movimento erompe dalla molteplicità di linguaggi e pratiche che dall’interno lo abitano. In esso coesistono dimensioni diverse del sentire e dell’agire (dall’associazionismo laico ai movimenti cattolici, da singoli cittadini a centri sociali), che fondano in alcuni elementi comuni (l’opposizione alla guerra globale e alla distruzione dei territori) le ragioni della propria collettività, rifiutando etichette o aggettivazioni univocamente determinate.
E’ proprio il dato moltitudinario a qualificare in senso innovativo questo movimento: coinvolgendo culture e soggetti differenti, la lotta contro il Dal Molin a Vicenza riproduce e si fregia di un consenso sociale allargato, si estende all’intero territorio, fino a configurarlo come una comunità resistente. Anzi, questa riproduzione è resa possibile proprio perché, soggettivamente, il movimento ha saputo affermare, contro ogni ipotesi di rassegnazione e di acquiescenza, l’attualità della resistenza, la possibilità concreta di resistere, collettivamente, contro quella che viene percepita come un’imposizione.
E’ questo il dato nuovo che le mobilitazioni degli ultimi anni hanno prodotto: l’acquisizione che la resistenza sia un’attività sociale collettiva, un prodotto dell’azione comune. E che, di conseguenza, nessuna delega o rappresentanza possa essere ammessa o riconosciuta, se non la rappresentazione che la moltitudine stessa fa di sé nell’esercizio del conflitto.
Le reti di solidarietà costruite in questi giorni attorno all’opposizione al Dal Molin, le manifestazioni e mobilitazioni in ogni parte d’Italia, l’estensione di questa lotta oltre i confini locali, fino a farla sentire propria da parte di chiunque voglia opporsi alle logiche di guerra, per la difesa dei beni comuni e della terra, della dignità e qualità della vita, sono il segno più tangibile della qualità nuova espressa da questo movimento.
Oggi, a qualunque componente del movimento pacifista è chiesto di fare i conti con questa nuova natura espresse dalle lotte contro il Dal Molin.
Al livello definito dalla moltitudine, quando cioè la politica viene riconosciuta e fondata nel conflitto senza necessità di ricorrere ai partiti, anzi ricusandoli di qualsiasi ruolo di mediazione sociale, il rispetto per le forme di espressione collettivamente condivise, per l’orizzontalità delle decisioni, rappresenta un’acquisizione giammai data per acquisita, ma che deve essere ogni volta rinnovata. Come pure difesa. Perché è chiaro che ogni tentativo di ricondurre a un’espressione univoca la complessità del movimento, di imporsi quale sua rappresentanza, oltre che una pesante mutilazione della sua dimensione apertamente moltitudinaria, non può che essere percepito come una violenta manomissione.
In questo senso crediamo rappresenti un importante segnale di maturità l’accettazione delle forme di partecipazione richiesta direttamente dal presidio permanente e dai comitati locali vicentini che, in segno di rispetto nei confronti di tante donne e dei tanti uomini che in questi giorni si sono sentiti traditi dalle istituzioni e dai partiti, invitano a sfilare senza bandiere o vessilli di partito. Come anche l’invito a valorizzare la scelta di quanti si sono autosospesi o dimessi in segno di protesta contro l’atteggiamento ubiquo delle proprie organizzazioni politiche che, a parole, si autoproclamano pacifisti e radicali, salvo poi esprimere un ossequiosa disciplina in sede di governo centrale.
Non accettiamo da parte di Cgil, Rifondazione Comunista, Ds o altri ancora, l’ennesima sovradeterminazione di una battaglia che parte dal basso, che ha una partecipazione trasversale e variegata, e allo stesso modo è trasversalmente segnata dalla delusione nei confronti del governo Prodi e dei partiti che lo compongono. Invitiamo tutti coloro che, anche a Trento, non hanno compreso la forma che questa lotta e questo movimento ha assunto come propria e tentano di dividere una manifestazione unitaria attraverso meccanismi di opportunismo politico e di rappresentanza fittizia, a leggere su globalproject.info il documento dei Centro Sociali del Nord Est che spiega in che modo ci si debba sciogliere all’interno del flusso moltitudinario che attraverserà Vicenza.
Noi lo faremo, partendo in treno da Trento alle 8.45 e Rovereto alle 9.00, riconoscendo un unico appello che è quello dell’Assemblea permanente No Dal Molin. Riconoscendo un unico simbolo “la bandiera No Dal Molin” e un unico obbiettivo: opporci in ogni modo alla costruzione della base, partendo dalla manifestazione del 17 febbraio.
Saremo un unico cuore e un unico battito con i cittadini di Vicenza.
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