4.4.11

Stop ai bombardamenti, accoglienza subito senza discriminazioni


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Questo pomeriggio il Coordinamento Trentino 2 aprile ha promosso un presidio in piazza Pasi in collegamento con le altre piazze italiane che hanno voluto manifestare una netta contrarietà alla guerra e alla cultura che la genera. Gli interventi e il testo distribuito hanno posto l'accento sulla fine immediata dei bombardamenti sulla Libia e sulla situazione dei migranti accolti indegnamente sull'isola di Lampedusa.

Migranti che saranno nei prossimi giorni probabilmente trasferiti anche nel centro d'accoglienza allestito dalla protezione civile a Marco di Rovereto. Un campo - specifica il Coordinamento Trentino - che non deve assomigliare a un CIE, ma dove tutte le persone devono essere accolte senza discriminazioni tra profughi e migranti economici.

Un campo, come si legge nel volantino allegato, dove la vera accoglienza sia costruita attraverso una gestione trasparente ed aperta che garantisca servizi efficaci, piena assistenza legale e attività di animazione, non in un ghetto separato, ma dentro un tessuto di relazioni diffuse con le varie realtà sociali locali che aiuti le persone migranti ad inserirsi, per piccoli gruppi, nei tanti comuni del Trentino già ricchi di esperienze di solidarietà, e rappresenti per loro un’effettiva opportunità di prima inclusione nella comunità dei cittadini.

Durante il pomeriggio è stato inoltre allestito un banchetto dall'associazione Ya Basta finalizzato alla promozione e alla raccolta fondi per la carovana in Tunisia "Uniti per la Libertà".

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Ridotta a carta straccia la Costituzione che ripudia la guerra, l’Italia di governo e di opposizione è in guerra contro Gheddafi, l’alleato di ferro pagato per fermare l’«invasione» dei migranti con misure spietate che violavano diritti umani e convenzioni internazionali.

Accanto a questa guerra tragicamente sempre più incerta nei mezzi, nei tempi e negli obiettivi l’Italia di governo, troppo timidamente contrastata, scatena ora un’altra «guerra»: contro i migranti, soprattutto giovani, che fuggono dalla Tunisia o dalla Libia alla ricerca di libertà e di dignità. Ieri negate da regimi autoritari, oggi dall’Europa e dall’Italia.

Nostalgicamente orfani dei vecchi dittatori, infatti, gli imprenditori politici della paura hanno ripreso ad agitare ossessivamente il pericolo dell’invasione che non c’è, cavalcando sul mercato delle emozioni e della politica la minaccia dell’esodo biblico, delle infiltrazioni di Al Qaeda, dell’orda criminale che travolge la sicurezza delle nostre comunità.

Mentre i tunisini senza alcun allarmismo accoglievano in pochi giorni, con poveri mezzi, 150.000 persone in fuga dalla Libia, a fronte di poche migliaia di migranti fortunosamente sbarcati a Lampedusa Maroni ha continuato a minacciare la Tunisia di procedere a rimpatri forzati, soluzione repressiva non prevista da alcuna norma nazionale ed internazionale e quindi assolutamente illegale. Con un’escalation di rozzo e ingiustificato allarmismo ancora una volta è stata artificiosamente costruita l’emergenza immigrazione, questione di ordine pubblico da affrontare con gli strumenti del respingimento, della repressione e della espulsione.

In questa prospettiva si comprendono le vere ragioni della mancata realizzazione a Lampedusa di un tempestivo piano di vera accoglienza attraverso la distribuzione diffusa dei migranti nella rete dei centri già attivi o che comunque era possibile rendere operativi in pochi giorni. Già affollati i centri di detenzione per gli immigrati irregolari in attesa di essere espulsi, si è voluto trasformare l’intera isola in un orrendo centro di detenzione a cielo aperto in cui imprigionare, in condizioni disumane, insieme migranti e abitanti di Lampedusa.

Infine è arrivato il piano di «accoglienza», che il governo vuole imporre con prepotenza alle Regioni: un’accoglienza selettiva e discriminatoria, perché se il governo si sente costretto a concedere una qualche protezione alle persone che fuggono dalla tragedia libica, nessuna speranza è lasciata ai tunisini in fuga dalle tensioni di una difficile transizione democratica e dal tracollo dell’economia turistica.

Per queste persone, marchiate dal reato di clandestinità, l’«accoglienza» significa detenzione in tendopoli improvvisate in aree militari e poi sbrigative e sommarie espulsioni di massa, che pure la legge vieta. Su questo è bene essere chiari: noi ci opporremo ad ogni forma di «accoglienza» che discrimini tra richiedenti asilo e migranti economici ed alla criminalizzazione dei cosiddetti clandestini, chiunque le proponga, chiunque le accetti, chiunque le pratichi, in Italia o in Trentino. Anche alle persone in fuga dalla Tunisia devono essere garantiti i diritti fondamentali della persona, a cominciare dal diritto alla presentazione della domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e alla concessione di misure di protezione temporanea come prevedono le direttive comunitarie in caso di afflussi di massa.
Ma è l’’intera politica di questa «accoglienza» che rischia di ridurre profughi e migranti economici a non-persone e di provocare altre disastrose emergenze. Non è accoglienza il trasferimento forzato in centri chiusi, recintati dal filo spinato e controllati dai cordoni di polizia: un vero centro di accoglienza non imprigiona, ma offre accoglienza in condizioni di libertà.

Così deve essere anche per il centro che le istituzioni provinciali stanno predisponendo a Marco: l’accoglienza non è questione organizzativa da affidare a tecnici specializzati, ma è questione sociale che riguarda l’intera comunità trentina. La vera accoglienza, di profughi e migranti economici, si costruisce solo con una gestione trasparente ed aperta che garantisca servizi efficaci, piena assistenza legale e attività di animazione, non in un ghetto separato, ma dentro un tessuto di relazioni diffuse con le varie realtà sociali locali che aiuti le persone migranti ad inserirsi, per piccoli gruppi, nei tanti comuni del Trentino già ricchi di esperienze di solidarietà e rappresenti per loro un’effettiva opportunità di prima inclusione nella comunità dei cittadini.

Questo è il modello di inclusione che proponiamo e per il quale vogliamo operare: su questa questione di democrazia e di civiltà chiediamo alle istituzione del governo provinciale di aprire il confronto e alle forze culturali, sociali e politiche del Trentino democratico di mobilitarsi affinché si sperimenti nella nostra comunità un modello di accoglienza effettivamente rispettosa della libertà e della dignità delle persone.

Coordinamento Trentino 2 aprile

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